Whistleblowing, il D.lgs 24/2023 e l’attuazione della Direttiva UE 2019/1937

 

Scarica circolare n. 55/2023 Whistleblowing, il D.lgs 24/2023 e l’attuazione della Direttiva UE 2019/1937

 

Circolare n. 55-2023

Oggetto: Whistleblowing, il D.lgs 24/2023 e l’attuazione della Direttiva UE 2019/1937

Con la presente, per comunicarVi che il D.Lgs. 24/2023 ha dato attuazione alla Direttiva UE 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di tutela del c.d. whistleblowing, materia già disciplinata in precedenza dalla L. 179/2017. Vengono rafforzate le regole già esistenti, che impongo l’adozione di sistemi di segnalazione aziendale degli illeciti ed una maggior tutela del segnalante.

Dal 15 aprile 2023 le nuove norme saranno applicabili ai datori di lavoro che negli ultimi 12 mesi hanno occupato mediamente più di 249 dipendenti, mentre per chi ha occupato meno di 250 ma almeno 50 dipendenti negli ultimi 12 mesi, le nuove regole scatteranno a partire dal 17 dicembre 2023. Tra i datori con meno di 50 dipendenti ma che dovranno comunque adeguarsi ai nuovi adempimenti rientrano quelli che hanno come genere di attività i servizi ed i prodotti finanziari, la prevenzione del riciclaggio e le misure atte a bloccare il finanziamento del terrorismo, la sicurezza dei trasporti e la tutela dell’ambiente, nonché quelli che adottano modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001.

Si analizza, brevemente quali sono le principali disposizioni della normativa attuativa, che introduce alcune novità rispetto alla precedente.

Con il termine di whistleblowing si intende la rivelazione da parte di un soggetto di un illecito commesso all’interno di un ente, del quale lo stesso abbia avuto conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni. L’istituto ha avuto una prima importante applicazione con l’emanazione dei decreti legislativi 165/2001 per il settore pubblico e 231/2001 per il settore privato e ha sempre costituito parte integrante dei modelli di organizzazione delle aziende, rappresentando un baluardo dell’efficacia dei sistemi di controllo. Oggi, grazie alla direttiva europea che ha esteso e meglio definito i meccanismi di utilizzo, questo istituto diventa parte essenziale delle organizzazioni aziendali e impone una serie di adempimenti di particolare rilievo.

Lo scopo del Dlgs 24/2023

La nuova disciplina mira a proteggere le persone che segnalano violazioni capaci di ledere l’interesse o l’integrità aziendale. Si tratta di una protezione estremamente ampia poiché si estende non solo al soggetto segnalante, ma anche ai cosiddetti facilitatori, ossia i soggetti preposti ad assistere il segnalante nel processo di segnalazione e – tra gli altri – i colleghi che operano abitualmente nello stesso contesto lavorativo. La protezione ha l’intento di essere particolarmente efficace: le tutele sono assicurate non solo nel corso del rapporto di lavoro ma prima del suo inizio, se le violazioni sono conosciute durante il processo di selezione, e dopo la sua cessazione.

Chi è coinvolto 

Il Dlgs 24/2023 ha ampliato l’ambito di applicazione dell’istituto del whistleblowing, estendendone il campo di azione a tutte le società che:

  1. hanno impiegato, nell’ultimo anno, in media almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;
  2. rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione di cui alle parti I.B e II dell’allegato, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di lavoratori subordinati di cui al numero 1);
  3. sono diversi dai soggetti di cui al n. 2), rientrano nell’ambito di applicazione del D.Lgs. 231/2001, e adottano modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di lavoratori subordinati di cui al numero 1).

Le violazioni segnalate dal whistleblower che fanno scattare la tutela, in generale, consistono in: “comportamenti, atti od omissioni che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato” (articolo 2), e, più specificamente in:

  • illeciti amministrativi, contabili, civili o penali (articolo 2, comma 1);
  • condotte illecite rilevanti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, o violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti (articolo 2, comma 3);
  • illeciti che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’UE o nazionali indicati nell’Allegato del D.Lgs. 24/2023, ovvero degli atti nazionali che costituiscono attuazione degli atti dell’UE indicati nell’allegato alla Direttiva UE 2019/1937, seppur non indicati nell’allegato, relativi agli specifici settori (articolo 2, comma 3);
  • atti od omissioni che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di cui all’articolo 325 (articolo 2, comma 4), Trattato sul funzionamento dell’UE o che riguardino il mercato interno, di cui all’articolo 26, § 2, del medesimo Trattato;
  • atti o comportamenti che vanificano l’oggetto o la finalità delle disposizioni di cui agli atti dell’UE nei settori indicati ai punti precedenti.

Si tratta dunque di una casistica estremamente ampia, che copre, sostanzialmente, ogni violazione di norme che possano arrecare danno all’interesse pubblico nazionale o comunitario.

La normativa prevede però (articolo 1) una serie di eccezioni che escludono l’applicabilità della disciplina in commento, nei seguenti casi:

  • contestazioni, rivendicazioni o richieste legate a un interesse di carattere personale (articolo 1, comma 2, lettera a); ciò non esclude, ovviamente, che il soggetto possa farle, ma non potrà invocare le specifiche tutele – in particolare, sull’anonimato che sono invece riconosciute nel caso in cui la denuncia sia fatta a tutela di un interesse pubblico;
  • laddove le segnalazioni siano già disciplinate in via obbligatoria dagli atti dell’UE o nazionali indicati nella parte II dell’allegato al decreto (articolo 1, comma 2, lettera b);
  • segnalazioni in materia di sicurezza nazionale, nonché di appalti relativi ad aspetti di difesa o di sicurezza nazionale, a meno che tali aspetti rientrino nel diritto derivato pertinente dell’UE (articolo 1, comma 2, lettera c)).

Che cosa devono fare le aziende 

Per garantire l’auspicato grado di protezione, le aziende dovranno mettere in atto una serie di adempimenti diretti a rendere effettiva la tutela. In particolare, dovranno attivare canali di segnalazione interna che garantiscano (anche tramite strumenti di crittografia) la riservatezza dell’identità del segnalante, della persona coinvolta, del contenuto, dei documenti e delle persone comunque menzionate nella segnalazione. La gestione del canale di segnalazione potrà essere affidata a una funzione interna autonoma, il cui personale dovrà essere specificamente formato, oppure a un soggetto esterno. In ogni caso, l’istituzione del canale di segnalazione (interno o esterno) dovrà essere preceduta da una consultazione con le rappresentanze o le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Poiché le segnalazioni potranno essere effettuate con la massima libertà di forma scritta e orale, i canali di segnalazione dovranno garantire la prova della corretta ricezione della segnalazione (attraverso linee telefoniche, sistemi di messaggistica vocale, modalità informatiche o incontri diretti) e della rigorosa tempistica di risposta, in quanto è previsto l’obbligo di rilasciare al segnalante un avviso di ricevimento della segnalazione entro sette giorni, e un riscontro alla segnalazione entro 30 giorni.

Tutti i potenziali segnalanti dovranno essere resi edotti delle procedure previste per effettuare le segnalazioni mediante informazioni chiare e precise che l’azienda dovrà rendere facilmente visibili nel luogo di lavoro o in una sezione dedicata del suo sito internet, se esistente.

Sarà possibile anche effettuare una segnalazione usando un canale esterno istituito dall’Anac (l’Autorità nazionale anti corruzione), con le stesse garanzie di riservatezza e protezione elencate sopra, laddove il segnalante non possa ricorrere al canale interno, in quanto non attivo o non conforme alle caratteristiche sopra descritte, o quando ci siano fondati motivi per ritenere che, in caso di segnalazione, il sistema interno non sarebbe efficace o porterebbe a fenomeni di ritorsione o pericoli per il pubblico interesse.

Obbligo di riservatezza

Fondamentale nel campo del whistleblowing è, naturalmente, la riservatezza del segnalante, che si esporrebbe altrimenti, a possibili ritorsioni da parte dei soggetti segnalati. Così, secondo l’articolo 12, comma 2, l’identità del soggetto segnalante e qualsiasi altra informazione da cui può evincersi, direttamente o indirettamente, tale identità non possono essere rivelate senza il consenso espresso della stessa persona segnalante, a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni. Nel caso di procedimenti disciplinari in ambito lavorativo, secondo l’articolo 12, comma 5, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa; qualora, però, la contestazione disciplinare sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità della persona segnalante e sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza del consenso espresso della persona segnalante alla rivelazione della propria identità.

Trattamento dei dati personali

Oltre a un rigoroso obbligo di riservatezza, naturalmente, è previsto che il trattamento dei dati personali sia effettuato nell’assoluto rispetto delle normative, interne e comunitarie, vigenti. In particolare, il trattamento dei dati personali deve essere effettuato a norma del Regolamento UE 2016/679, del D.Lgs. 196/2003 e del D.Lgs. 51/2018 (articolo 13, comma 1). La comunicazione di dati personali da parte delle istituzioni, degli organi o degli organismi dell’UE è effettuata in conformità del Regolamento UE 2018/1725 (articolo 13, comma 1).

 Divulgazioni pubbliche

Un’altra delle novità del D.Lgs. 24/2023 è la tutela riconosciuta anche in caso di segnalazione pubblica (ad esempio effettuata tramite dichiarazioni agli organi di stampa o sui social networks). In queste ipotesi, l’articolo 15 prevede che il segnalante sia tutelato al pari degli altri soggetti protetti dalla seguente normativa, a condizione che: − il segnalante abbia previamente effettuato una segnalazione interna ed esterna ovvero abbia effettuato direttamente una segnalazione esterna, alle condizioni previste dalla normativa in commento e non sia stato dato riscontro nei termini previsti dalle norme indicate in precedenza (articolo 15, lettera a); − la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse (lettera b); − la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la segnalazione esterna possa comportare il rischio di ritorsioni o possa non avere efficace (lettera c).

 Divieto di ritorsione

Venendo a tematiche più specificamente giuslavoristiche, la normativa in commento prevede un divieto di ritorsione sulla persona segnalante, che riguarda il rapporto di lavoro.

Ritorsione intesa quale qualsiasi comportamento, atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, posto in essere in ragione della segnalazione, della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o della divulgazione pubblica e che provoca o può provocare alla persona segnalante o alla persona che ha sporto la denuncia, in via diretta o indiretta, un danno ingiusto (articolo 2, comma 1, lettera m).

Tra le fattispecie che costituiscono ritorsione, la normativa individua le seguenti ipotesi (articolo 17, comma 4) da non intendersi come tassative:

  1. a) il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti;
  2. b) la retrocessione di grado o la mancata promozione;
  3. c) il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell’orario di lavoro;
  4. d) la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa;
  5. e) le note di merito negative o le referenze negative;
  6. f) l’adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;
  7. g) la coercizione, l’intimidazione, le molestie o l’ostracismo;
  8. h) la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole;
  9. i) la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione.

La normativa prevede che quando ricorrano questi o altri comportamenti, atti o omissioni vietati, operi un’inversione dell’onere della prova, per cui si presume che gli stessi siano stati posti in essere a causa della segnalazione, della divulgazione pubblica o della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile. L’onere di provare che tali condotte o atti sono motivati da ragioni estranee alla segnalazione, alla divulgazione pubblica o alla denuncia è a carico di colui che li ha posti in essere (articolo 17, comma 2). Inoltre, in caso di domanda risarcitoria presentata all’autorità giudiziaria dai soggetti segnalanti, se questi dimostrano di aver effettuato una segnalazione e di aver subito un danno, si presume, salvo prova contraria, che il danno sia conseguenza di tale segnalazione, divulgazione pubblica o denuncia all’autorità giudiziaria o contabile (articolo 17, comma 3). Secondo l’articolo 19, comma 3, gli atti assunti in violazione dell’articolo 17, testo citato, sono espressamente nulli e il lavoratore licenziato in conseguenza di una segnalazione o denuncia ha diritto a essere reintegrate nel posto di lavoro, ai sensi dell’articolo 18, L. 300/1970, o dell’articolo 2, D.Lgs. 23/2015. Secondo il successivo comma 4, l’autorità giudiziaria adita adotta tutte le misure, anche provvisorie, necessarie ad assicurare la tutela alla situazione giuridica soggettiva azionata, ivi compresi il risarcimento del danno, la reintegrazione nel posto di lavoro, l’ordine di cessazione della condotta posta in essere in violazione della normativa in esame e la dichiarazione di nullità degli atti adottati in violazione del medesimo articolo.

Sanzioni

L’art. 21 del D.Lgs. 24/2023 prevede sanzioni amministrative pecuniarie da 10.000 a 50.000 euro, la cui applicazione è demandata all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), qualora siano state commesse ritorsioni in caso di segnalazione ovvero quando la stessa sia stata ostacolata o siano stati violati gli obblighi di riservatezza, ovvero non siano stati istituiti canali di segnalazione conformi alle previsioni di legge. Le sanzioni sono integrative di eventuali ulteriori responsabilità di natura civilistica, lavoristica, amministrativa o penale.

Entrata in vigore 

L’obbligo di adeguarsi alla normativa prevede due date: il 15 luglio 2023 per i soggetti privati che hanno occupato mediamente più di 249 dipendenti negli ultimi 12 mesi; il 17 dicembre 2023 per i soggetti privati che hanno occupato almeno 50 dipendenti negli ultimi 12 mesi.

Le aziende che rientrano in questi limiti dimensionali, dovranno attivare un canale (piattaforma) di segnalazione sicuro, individuare e formare le funzioni preposte, istituire le necessarie procedure aziendali e garantire l’adeguata informazione a tutti i dipendenti.

Cordiali saluti.

Bergamo, 15 luglio 2023       

 

Firmato C.d.L. Dr. Paolo Dalmaschio